Da qualche tempo a questa parte gli sembra che la sua vita sia scandita dai funerali, dalla morte di gente che ha conosciuto e talvolta amato e stavolta non c’è nemmeno un corpo da seppellire, una bandiera da ripiegare.

Può accettare la morte dei suoi vecchi amici, il loro tempo era venuto, avevano vissuto una vita piena, ma quando a morire è un giovane, uno con ancora tutta la vita davanti, allora non può che provare rabbia e frustrazione.

Steve Rogers sosta davanti al cancello del Palazzo dei Vendicatori. Le voci di coloro che si alternano su palco nel ricordare il compagno caduto gli giungono ovattate come se venissero da tanto lontano e lui ricorda.

 

 

CONSEGUENZE

 

Di

Carlo Monni & Carmelo Mobilia

 

 

 

Quartiere di Red Hook, Brooklyn, New York City. Circa due anni prima.

 

Steve Rogers, artista freelance e segretamente Capitan America, ascoltava con interesse i suoi visitatori. Il primo era un uomo anziano e Steve quasi sorrise pensando che quando l’aveva conosciuto quell’uomo era poco più di un bambino, mentre lui era già oltre i vent’anni ed ora… più di sessant’anni dopo, lui sembrava invecchiato solo di pochi anni e, mentre il bambino di allora era ormai un uomo di più di settant’anni. L’altro visitatore era un ragazzo, dell’età apparente di vent’anni, folti capelli biondi, occhi grigi, alto, ben piantato. Non aveva parlato molto, giusto per dire il suo nome, un nome che Steve conosceva molto  bene, anche se il primo uomo a portarlo era morto da tempo ormai, ma qualcosa in lui gli diceva che avrebbe saputo essere all’altezza delle tradizioni di famiglia.

<Io lo spero, signore.> aveva risposto Jeff Mace a quest’osservazione <Non ho ancora deciso bene cosa farò ma…>

<Qualunque cosa tu decida…> replicò Steve con convinzione <… sono certo che onorerai la memoria di tuo nonno.>

 

 

Appartamento di Steve Rogers. Connecticut. Non molto tempo fa.

 

Steve balzò in piedi come colto da una scarica elettrica. No, non poteva essere vero, non doveva.  Capitan America disperso, forse morto, Jack Flag e spirito Libero morti. Sentì una sorta di oppressione al petto: il peso del senso di colpa: era stato lui ad ispirare quei ragazzi a diventare eroi in costume era stato per seguire il suo esempio che loro…

Cercò di scacciare l’idea. Razionalmente sapeva di non essere responsabile della loro sorte, ma il cuore non voleva saperne di dar retta al cervello.

Freneticamente Steve prese il suo cellulare speciale e rintracciò il numero diretto di Nick Fury. Se c’era qualcuno che poteva saperne di più, quello era lui.

<Nick…>

<<So cosa vuoi chiedermi.>> come al solito Fury andò subito al sodo <<Sì, il ragazzo era lì. Lui, American Dream U.S.Agent e il Maggiore Libertà erano stati convocati da una falsa telefonata di un presunto Jack Norriss.>>

<Una trappola.> disse semplicemente Steve.

<<Ovviamente Quando le bombe sono esplose Cap e Agent sono finiti nei sotterranei e il ragazzo è rimasto ferito ad una gamba e non riusciva a muoversi. Agent ha cercato di raggiungerlo ma le condutture del gas sono esplose e….>

<Non hanno trovato il corpo, vero?>

<<No, solo lo scudo, ma non farti venire false speranze.>>

<Bucky è stato dato per morto per quasi 70 anni e poi è tornato.>

Fury non rispose e Steve incalzò:

<E Spirito Libero e Jack Flag? Quanto è sicura la loro morte?>

<<A quanto ne so, erano stati catturati dall’Uomo Perfetto, ti ricordi di lui?>>

<L’Aviatore Notturno? Certo.>[1]

<<Poche ore prima dell’esplosione erano stati ritrovati dei cadaveri in pessime condizioni con addosso i loro costumi. Erano stati torturati a morte, un brutto spettacolo,. Furono portati nella sala autopsie all’ultimo livello sotterraneo del palazzo del F.B.S.A. Si sospetta che le bombe siano state inserite dentro i cadaveri e fatte detonare con un comando a distanza o forse si sono attivate quando il medico ha cominciato a tagliare. Non lo sapremo mai: l’esplosione ha vaporizzato tutto.>>

Steve sentì la nausea montare dentro di lui. Strinse i pugni e fece un profondo respiro.

<<Steve… ci sei?>>

Steve si riscosse , guardò l’oggetto nella sua mano come se fosse qualcosa di alieno poi parve rendersi  conto di cos’era e che stava per stritolarlo.

<Ci sono, Nick.> rispose e gli sembrava di non riconoscere nemmeno la sua voce <State facendo qualcosa per trovare i… i bastardi che hanno fatto questo?>

<<Puoi scommetterci e tue medaglie .Sitwell ha messo i suoi uomini migliori sul caso e io… beh diciamo che non posso escludere che si tratti di una minaccia alla sicurezza internazionale.>>

<Se scopri qualcosa…>

<<Sarai il primo a saperlo, promesso.>>

La conversazione terminò e Steve si rimise a sedere.  Nella sua mente turbinavano le immagini di Capitan America, Jack Flag e Spirito Libero, giovani, pieni di vita e di entusiasmo… non pensavano certo alla morte. Perché non aveva capito che poteva succedere? Avrebbe potuto impedirlo? Quanta gente aveva visto morire dal 1940? Tanti, troppi ed ora doveva sopportare anche questo fardello

Un vero uomo non piange mai, dicono, non credeteci: Steve Rogers si prese la testa fra le mani e rimase solo coi suoi fantasmi.

 

 

Appartamento di Steve Rogers, Connecticut. Due giorni dopo l’esplosione.

 

Seduto su una poltrona del piccolo salotto Steve Rogers ignorò il persistente suono del campanello ma quando sentì aprirsi la porta del suo appartamento scattò rapidamente in piedi.

Sulla soglia apparve la familiare figura del Direttore dello S.H.I.E.L.D. Nick Fury.

<Avrei dovuto immaginare che eri tu.> disse <Che vuoi?>

<Pensavo che avresti gradito avere questo.> rispose Fury e posò su un tavolo una cartella da cui estrasse un oggetto molto familiare a Steve: lo scudo di Capitan America.

<Ho dovuto superare un po’ di impicci burocratici per poterlo prendere…> spiegò Nick <Ma pensavo che ti avrebbe fatto piacere averlo.

<Secondo te che dovrei farci?>

<Beh… magari potresti scuoterti dal senso di colpa e riprendere il ruolo di Capitan America… o individuare un altro successore.>

<E mandare qualcun altro a morire? Questo costume è maledetto: ha ucciso tutti coloro che l’hanno portato.>

<So che non ci credi davvero. Pensaci su, ok? Io mi fido del tuo giudizio.>

Fury uscì e Steve rimase di nuovo solo. Che doveva fare? Capitan America era un simbolo di speranza, non poteva semplicemente scomparire. Poteva riprendere lui quel ruolo? Se l’avesse fatto, che ne sarebbe stato del suo gruppo? Dopo quello che aveva fatto Sharon[2] erano vicini alla dissoluzione, gli avrebbe dato il colpo di grazia. E che ne sarebbe stato del suo sogno di Capitan America come simbolo delle nuove generazioni?

Improvvisamente capì cosa doveva fare. Prese il cellulare e fece una chiamata:

<Bucky, vorrei che mi accompagnassi in un posto.>

 

 

Falls Church, Virginia. Tre giorni dopo l’esplosione.

 

Steve aveva aspettato seduto su una poltroncina della camera da letto. Si sentiva a disagio in quel posto, gli sembrava di violare la privacy della ragazza che stava aspettando. Finalmente sentì la porta d’ingresso aprirsi, i passi nervosi della ragazza, il singhiozzo di un pianto sommesso ed infine la porta della camera si aprì. Il Maggiore dei Marines Elizabeth Mary Mace, al momento in borghese, entrò e rimase un attimo perplessa: su una sedia uno dei suoi costumi da American Dream. No… era diverso: niente scollatura sulla punta superiore della stella e la cotta di maglia è un po’ più spessa, è un costume da Capitan America e quello posato su di esso sembrava… era possibile che fosse davvero lo scudo di…

<È proprio quello vero.> disse Steve

Liz si voltò di scatto e Per un attimo ebbe l’irragionevole speranza che quello fosse suo fratello, poi lo riconobbe:

<Tu… sei Steve Rogers. Maledetto!>

Lo aggredì picchiandolo ripetutamente sul petto. Steve non reagì lasciandola sfogare.

<Maledetto. È colpa tua: se tu non avessi deciso di ritirarti, Jeff non sarebbe mai diventato Capitan America e non sarebbe morto.>

Steve non disse niente ma dentro di sé non poteva non chiedersi se non fosse vero.

Liz Mace smise di colpirlo e cominciò a piangere, appoggiando la testa sul suo petto.

<Lo so.> risponde quietamente Steve <Mi dico che è stato lui a fare le sue scelte, ma in realtà penso che avrei dovuto esserci io al suo posto.>

<E ora che farai? Rivuoi il ruolo per te? Perché hai portato qui il tuo costume?>

<È il tuo costume, non il mio. Il mio tempo è passato ormai. Ho altri ruoli adesso e mi vanno bene come sono, ma non per questo Capitan America deve scomparire.>

Liz guardò il costume e lo scudo.

<No! Non puoi parlare sul serio... io… non posso… non adesso.>

<Capisco. Comprendo il tuo dolore. Hai voglia di scappare, vero? Non servirà: il dolore ti raggiungerà dovunque tu vada. Affrontalo e non permettere che ti consumi. Tuo fratello non l’avrebbe voluto, lo sai… io credo che tu lo sappia. Tuo padre mi ha detto una volta che tu pensavi di poter essere un buon Capitan America e che pensavi che fosse stupido e sessista impedire ad una donna di esserlo. Bene… perché non provi a dimostrarci che è vero?>

Liz non rispose e Steve, anche lui in silenzio, le strinse le mani, poi si voltò ed uscì com’era entrato,

La strada era vuota e nessuno badò a lui ed al suo costume. Salì sulla Porsche Carrera al cui volante stava James Buchanan Barnes

<E allora?> chiese <Cosa ha detto?>

<Nulla.> rispose Steve <Ma accetterà, lo so. È la sua sola possibilità di superare il dolore e lei lo sa.>

<Un Capitan America donna. Il mondo è davvero cambiato da quando ero un ragazzino.>

<Per fortuna, Buck... per fortuna.>

Steve si voltò un attimo a guardare la finestra della camera di Liz dove distinse la sua figura muoversi e le mandò un silenzioso “buona fortuna”.

 

 

Centro America. Rio Valiente. Oggi.

 

Un tempo questo stato era chiamato in un altro modo. Il suo nome era “Rio de Muerte” ed era una spietata dittatura sotto il giogo di Hector Santiago detto “El Puerco”, il Maiale, un soprannome meritato a causa della sua crudeltà e spietatezza . La sua morte in circostanze poco chiare (ma c’era chi diceva che c’entrasse l’eroe statunitense chiamato Capitan America)[3] scatenò una vittoriosa insurrezione che ne ha fatto una repubblica autenticamente democratica.  Tra i guerriglieri ribelli che fecero cadere la dittatura. Una donna in particolare si distinse per il coraggio e la forza con cui si oppose a quel che rimaneva del regime, motivata anche dall’essere la cugina di Santiago, decisa a riscattare il nome della sua famiglia. Si chiamava Donna Maria Puentes ed a farla decidere di lottare per la libertà era stato proprio il leggendario Capitan America. Impressionato dal coraggio che aveva mostrato nell’opporsi apertamente al cugino e poi nell’aiutarlo contro Arnim Zola ed il Teschio Rosso,[4] Cap le aveva proposto, alcuni anni dopo, di entrare nello staff dei Vendicatori e in seguito la raccomandò caldamente allo S.H.I.E.L.D. Dopo alcuni anni passati nella più grande agenzia di spie del mondo, Donna Maria decise di lasciare gli Stati Uniti e rientrare nel suo paese. Qualcuno avrebbe voluto che entrasse i politica, ma lei aveva preferito entrare a far parte dei servizi segreti e ora, proprio come aveva fatto anni fa, combatteva per difenderne la libertà tanto faticosamente guadagnata.

Quel giorno si trovava all’aeroporto proprio per svolgere una missione top secret per conto del governo. Stava pedinando Diego Delgado, appartenente ad un movimento sovversivo che cercava di rovesciare il governo e per farlo, stando ai suoi superiori, era pronto a ricorrere a mercenari americani. Donna Maria lo osservava da lontano, nascosta dietro un angolo. Gli teneva gli occhi addosso. Delgado andò incontro ai suoi ospiti, e lei si accorse che le informazioni che aveva sul suo conto erano fondate. Quelli sembravano davvero degli americani. Prese la macchina fotografica e cominciò a scattare delle foto ai soggetti.

Il primo di loro era alto, ben piantato, con dei folti capelli bianchi e un fazzoletto rosso legato al collo. Aveva l’aria di uno che ne aveva viste tante. Il secondo uomo aveva addirittura di stazza superiore, i capelli biondi tagliati alla marine e ...del cerone sulla faccia? Entrambi dei volti sconosciuti. C’erano anche due donne con loro. La prima portava un foulard intorno ai capelli e degli occhiali da sole, come se volesse nascondere il suo volto. Era un vero enigma. Quella coi capelli castani invece aveva un’aria familiare ... le dava una strana sensazione di dejà vu, ma non riusciva a metterla a fuoco ... dove poteva averla già vista? Quando l’obiettivo inquadrò l’ultimo uomo a Donna Maria venne quasi un infarto: mio dio, ma come poteva essere lui? Lui era morto, lo sapevano tutti! Avevano fatto i funerali in TV! Com’era possibile? Eppure, l’uomo che stringeva la mano a Delgado era identico a lui ... magari qualche anno più vecchio, ma non aveva dubbi: era proprio Steve Rogers, l’uomo sotto la maschera di Capitan America! Non poteva sbagliarsi, lei lo conosceva bene: abbastanza da conoscerne nome e volto. Che cosa c’era sotto? Donna Maria sapeva che c’era un solo uomo che poteva darle delle risposte...

 

 

Villa Carter, Virginia. Oggi.

 

Cosa c’è di più normale di una madre che spinge la figlia su un’altalena? Sharon Carter sorrise amaro al pensiero. Cosa c’era ormai di normale nella sua vita? Aveva un talento naturale per complicarla. Prendiamo quel che era successo con l’interrogatorio brutale di Ballard. Sapeva benissimo come l’avrebbe presa Steve Rogers ma aveva proceduto lo stesso. Si diceva che era stato necessario, che c’erano in gioco delle vite umane, ma sapeva che non era la vera ragione. C’era qualcosa in lei, una rabbia repressa che ogni tanto premeva per uscir fuori, il risultato del lungo periodo in cui si era trovata abbandonata in seguito ad una missione così segreta che per compierla aveva dovuto farsi credere morta da chiunque, compreso l’uomo che amava.  Quella che era tornata negli Stati Uniti era una donna diversa, più dura e più cinica, molto diversa dalla dolce e per certi versi ingenua ragazza che era prima. Shannon aveva cambiato molte cose: doversi occupare di sua figlia aveva sciolto la pietra che sentiva di avere al posto del cuore. C’era ancora la questione legata alla paternità da chiarire. Quasi tutti quelli che avevano visto Steve accanto alla bambina non potevano non aver colto una certa somiglianza tra loro. Lui non glielo aveva mai fatto notare, fino a quella volta in palestra. Avrebbero dovuto parlarne, doveva rivelargli la verità, ma ormai aveva poca importanza: dopo il trattamento che aveva inflitto a Ballard Steve l’aveva voluta fuori dalla squadra. Sharon non lo biasimava: lui aveva la sua etica ed era senz’altro migliore di quella di lei, un modello inarrivabile per chiunque. Ma questo significava forse una rottura definitiva tra di loro: Steve era un uomo buono, ma su certe questioni era intransigente, e non voleva sentire ragioni.

Il rombo di un motore la fece sobbalzare. Si voltò di scatto e vide una moto percorrere il vialetto d’ingresso.  In sella c’era, almeno apparentemente, un uomo che indossava giubbotto e pantaloni di pelle ed il cui volto era completamente coperto da un casco integrale dalla visiera a specchio.

Sharon escluse immediatamente che si trattasse di un nemico: quella non era la tattica dei nemici che conosceva e la lista era molto lunga.

Il motociclista si fermò alla fine del vialetto, quasi davanti a madre e figlia, e saltò giù dirigendosi verso di loro mentre si toglieva il casco.

<Chi è?> domandò innocentemente Shannon, saltando giù dall’altalena e correndo in braccio alla mamma.

<È un amico di mamma. Si chiama Jack.>

<Ciao Sharon> disse il nuovo venuto <questo piccolo folletto è tua figlia, presumo.>

<Si esatto. Saluta Shannon.>

<Ciao ...> rispose la bimba, leggermente intimorita.

<Piacere di conoscerti, Shannon. Sai, ho qualcosa nella tasca della moto che potrebbe fare al caso tuo. Perché non vai a darci un occhiata?> le disse, sorridendogli. La bambina non se lo fece ripetere ed intanto Sharon si rivolse all’ospite:

<Jack Monroe, che ci fai vestito così? Vuoi imitare Marlon Brando?>

<In effetti “Il selvaggio” è un film che mi ha colpito molto, l’ho visto che avevo 12 anni e ricordo che un mio insegnante lo giudicava immorale e sovversivo. Io credo che mi abbia ispirato l’amore per le moto.>

<E saresti venuto fin qui da New York con quella?>

Jack sogghignò divertito.

<E che ci vuole?> ribatté <Su strada è anche meglio di un’auto.>

<Ultimamente ti si vede spesso da queste parti. A cosa devo il piacere?>

<Volevo vedere come stavi, dopo la sfuriata di Steve. Pensavo che volessi parlarne con qualcuno e, come ti ho detto l’altra volta, io sono un tipo che sa ascoltare.>

<Uh Jack senti ... io ti ringrazio ma non ...>

<Sai, per quel che vale, per me hai fatto bene. Io ho lavorato per le strade, e lo so bene che con certa gente devi usare le maniere forti. Steve è il migliore, e io gli voglio bene lo sai, ma a volte non riesco proprio a capire come faccia a non capirlo.>

<Steve ha visto più battaglie di quante io e te ne vedremo mai, eppure è rimasto ... pulito. Io non so come ci riesca, ma non si è fatto indurire dagli orrori a cui ha dovuto assistere. Io non ce l’ho quella forza, quella ... “purezza”. E credo che non me lo perdonerà mai.>

Shannon corse verso di loro tutta eccitata, interrompendo la loro conversazione.

<Mamma, guarda: Jack mi ha portato le caramelle e una Barbie motociclista.>

<Vedo… e cosa dice una brava bambina a chi le porta dei doni?>

<Oh certo: grazie Jack.>

Sharon rise, poi afferrò Jack per un braccio e disse.

<Su, vieni a casa con noi> disse < È l’ora della merenda, magari troviamo qualcosa anche per te.>

<Bene, ti confesso che sono affamato dopo il viaggio. Prenderei della frutta.>

<Della frutta? Un “selvaggio” come te?>

<Beh che male c’è? E comunque dovresti averla: questo non è lo Stato delle Pesche?>

<Quella è la Georgia.> ribatté Sharon <Noi siamo l’Old Dominion.>

<Mai stato forte in geografia >

<Io conosco i nomi di tutti gli Stati e so contare fino a cento, vuoi sentire?> intervenne Shannon.

<Ma certo.> rispose Jack ridendo, e Sharon fu felice di potersi rilassare come una mamma qualunque.

 

 

Casa Proctor, Queens, New York. Oggi.

 

Mentre stava giocando con la piccola Julia James Buchanan Barnes era consapevole dello sguardo indagatore dell’uomo che lo stava fissando e che alla fine si decise a parlare:

<Sai che non riesco a credere che tu sia il fratello della nonna? Sembri avere al massimo la mia età.>

<Non sei il solo.> ammise Bucky con un sorriso <Faccio fatica a crederci anch’io, ma pare che sia vero.>

<Quindi devo chiamarti zio?>

<Solo se vuoi vedermi veramente imbarazzato. Puoi chiamarmi James o Bucky ed io ti chiamerò…>

<Jimmy va bene. James Barnes Proctor. La nonna diceva sempre che era un nome importante…>

<Tua nonna dice delle grandi sciocchezze a volte. Ma parlami di te… ho sentito che sei stato in Afghanistan.>

<Due turni e non è stato bello. Papà è stato in Vietnam e racconta che era una guerra sporca, ma neanche questa scherza.>

Non esistono guerre pulite, ragazzo, pensò Bucky, solo gente che cerca di farle in modo pulito… gente come Steve.

 

 

Londra, estate 1966

 

Il Soldato d’Inverno aveva passato i controlli della dogana britannica senza grossi problemi. D’altra parte il suo passaporto americano, rilasciato a nome Jacob Baring, era impeccabile, un falso perfetto.

Era la prima volta che lo mandavano nel Regno Unito. Aveva già ucciso dei britannici in precedenza, ma sempre all’estero, mai nella loro patria.

Il Soldato d’Inverno non era uno stupido: aveva capito che il suo superiore, il Maggior Generale Karpov, era stato riluttante a inviarlo nelle Isole Britanniche, ma non stava a lui chiedersi il perché, i suoi superiori sapevano sempre cos’era meglio ed il suo compito era solo ubbidire agli ordini.

Adesso era meglio concentrarsi sulla missione e sull’uomo che ne era la chiave: un agente del MI6 che gli avevano descritto come molto pericoloso.

 

 

Centro Federale di detenzione di Brooklyn, New York

 

La dottoressa Emily Snyder si concesse un breve sorriso: l’essere stata trasferita qui era già una bella vittoria in fondo. Lo S.H.I.E.L.D. non aveva avuto molta scelta, in fondo, che consegnarla al sistema federale americano nella cui giurisdizione erano avvenuti i crimini di cui era accusata. La sua avvocatessa, Rosalind Sharpe, si era battuta come un leone per farla uscire sotto cauzione sostenendo che non c’erano prove che lei fosse direttamente coinvolta negli omicidi politici ordinati dal cosiddetto Teschio Rosso deli Anni 50, ma il giudice aveva respinto la richiesta.

L’idea che il mandante degli omicidi in questione ed il loro esecutore materiale fossero a piede libero mentre lei rischiava almeno trent’anni di carcere non andava giù alla Snyder specie considerando che l’esecutore in questione era stato “perdonato” per incapacità mentale e ne era uscito pulito come un angioletto. Dopo averci pensato parecchio, Emily aveva deciso di calare il suo asso ed aveva sussurrato alle orecchie di uno zelante pubblico ministero federale una frase che gli fece brillare gli occhi:

<Io so chi è il Teschio Rosso.>

Per rivelare la vera identità e contribuire alla cattura dell’uomo sotto la maschera rossa aveva preteso che fossero fatte cadere le accuse più gravi e che dopo la sua testimonianza le fosse data una nuova identità con trasferimento in un paese straniero. Al Dipartimento della Giustizia non erano stati molto contenti di un simile patto ma stavano per cedere, ne era sicura.

Nel frattempo c’era sempre la possibilità che Lukin, venuto a sapere della cosa (ed Emily non dubitava che ne avesse i mezzi), decidesse di farla liberare.

C’era anche una terza possibilità, ma la dottoressa Snyder non la stava prendendo in considerazione e questo poteva rivelarsi un grave errore.

La porta della sua cella si aprì ed entrò un secondino che disse:

<Una visita per te, Snyder, il tuo avvocato.>

<Cosa?> esclamò lei perplessa.

<Ho detto il tuo avvocato. Non vuoi vederla?>

<Sì… ma non pensavo… va bene, arrivo.>

 

 

Appartamento di Steve Rogers, Connecticut. Oggi.

 

Le lezioni erano finite, e per il professor Rogers poteva finalmente togliersi la cravatta e gli occhiali. Era sprofondato nel divano, e si passava la lattina di Sprite gelata sulla fronte. Gli ultimi mesi per lui erano stati veramente duri. Tanto per cominciare, la sua fidanzata, Connie, era stata uccisa da un cecchino. Poi aveva scoperto che Bucky Barnes, il suo partner della seconda guerra mondiale, era ancora vivo e lavorava come killer per un criminale di guerra russo. Come se non bastasse, la sua ex ragazza aveva utilizzato metodi da Gestapo per interrogare un prigioniero e il ragazzo che lo aveva sostituito nel ruolo di Capitan America era rimasto ucciso in un esplosione. C’era di che essere stressati, non c’è che dire. Sperava di avere un po’ di tempo per se, per potersi rilassare e staccare la spina. Fare degli esercizi, oppure disegnare. Gli piaceva tanto disegnare, un tempo. Lo faceva sentire bene. Il suono del cellulare non presagiva nulla di buono. Quel numero lo avevano in pochi, e quasi tutti legati al mondo dello spionaggio. Per un attimo ebbe voglia di non rispondere e di godersi il resto della giornata. Ma il senso del dovere gli impedì di fare una mossa del genere, sollevò lo sportellino del telefonino e rispose: dall’altra parte del telefono c’era Nick Fury.

<<Scusa se ti disturbo Rogers, ma è successo qualcosa che ti riguarda.>>

<Cos’altro c’è che sta andando storto, Nick?>

<<Non lo indovineresti mai ...>>

 

Brighton Beach, Brooklyn, New York

 

Yelena Belova camminava per quel quartiere dove si sentiva quasi a casa sua. Sentiva nostalgia della Russia, ovviamente, ed era per questo che vi faceva frequenti visite nel suo tempo libero. Naturalmente non era ignara che a Little Odessa c’era la contaminazione della Mafia Russa, la Bratva , come la chiamano nella sua lingua ma anche se non aveva avuto a che farci finora, non si sarebbe tirata indietro se fosse capitato.

Il trillo del suo cellulare interruppe le sue riflessione.

<Cosa c'è, Comandante Rogers?> chiese.

<<Una missione per te e l’Agente 13.>> rispose Steve <<Vieni subito alla sede.>>

<Arrivo.>

Una missione per lei e la Carter sole? Cosa stava succedendo? Pensava che Rogers avesse escluso Sharon Carter dalla squadra dopo il suo comportamento con quel Ballard, cosa era cambiato?

 

Sede dei Vendicatori Segreti.

 

Steve Rogers aveva fatto una delle telefonate più difficili della sua vita. Non avrebbe voluto richiamare Sharon Carter in servizio ma non c’era scelta:  lui conosceva bene le capacità e la pazzia di Superia e liberare Costa Diablo sarebbe stato un lavoro perfetto per i suoi Vendicatori Segreti, se non fosse stato per il fatto che se quello che Superia diceva fosse stato vero, e cioè che i suoi dispositivi di difesa erano tarati per uccidere istantaneamente qualunque intruso di sesso maschile, solo Sharon e la Vedova potevano intervenire. In ogni caso lui non avrebbe permesso che la nuova Capitan America affrontasse una sfida simile da sola.

<Noi siamo pronte, Steve.>

La voce di Sharon lo strappò alle sue riflessioni. La donna era appena entrata assieme a Yelena Belova, entrambe in tenuta da battaglia.

<Bene.> replica Steve <Sapete cosa fare: raggiungete Costa Diablo e fate tutto il possibile per eliminare il pericolo di Superia.>

Tra lui e Sharon un gioco di sguardi. Poteva volerci poco, una parola sola forse, ma nessuno dei due sembrava voler fare il primo passo, poi il momento passò lasciando solo spazio ai rimpianto.

Steve le vide uscire ed in quel momento maledisse il suo ruolo di comandante.

Sharon strinse i pugni mentre si dirigeva verso l’hangar.

<Carter…> la voce di Yelena la costrinse a voltarsi?

<Ce c’è?> chiese maledicendosi per il tono duro. Non era gusto che la giovane russa scontasse le sue frustrazioni.

<Niente… mi chiedevo… se vuoi parlare di quel che sta succedendo…>

<Magari un’altra volta.> tagliò corto Sharon <Ora abbiamo una missione a cui pensare.

 

 

Base dei Vendicatori Segreti.

 

Steve aveva convocato Jack e Bucky per condividere con loro le informazioni ricevute da Nick.

<Dove sono Cho e le ragazze?> chiese Jack.

<Quello che sto per dirvi è riservato, per questo Amadeus non è qui. Quanto alle ragazze, ho per loro un’altra missione a cui noi non possiamo partecipare.>

Aveva parlato al plurale. Questo lo toglieva dall’imbarazzo di dover parlare di quanto avvenuto con Sharon. Tutti sapevano che prima o poi avrebbe dovuto affrontare l’argomento. Ma non oggi.

<Le foto che state per vedere> disse Steve digitando i tasti sulla tastiera della console <sono state scattate ieri a Rio Valiente, una repubblica centroamericana. Le ha scattate un agente dei servizi segreti locali, Donna Maria Puentes, un ex guerrigliera che ho incontrato in passato.> Il video mostrava l’immagine di una donna mora, in shorts e camicetta annodata sotto il seno. 

<Una rivoluzionaria sud americana. Per fortuna, non assomiglia a Che Guevara ...> disse Jack, fissando la foto dell’attraente donna.

<Io l’ho conosciuto Che Guevara, in passato...> disse sorridendo il Soldato d’Inverno <... e sì, posso confermare che non si assomigliano per niente.>

<Donna Maria> riprese Steve <era sulle tracce di un noto sovversivo, Diego Delgado. Pare che Delgado e i suoi stiano cercando di organizzare un colpo di stato allo scopo  di rovesciare il governo, e per farlo hanno chiesto l’aiuto di alcuni mercenari americani.>

<Nomi noti?> chiese ancora Jack.

<Si quasi tutti almeno.> cliccò ancora sulla tastiera e l’immagine sullo schermo cambiò.

<Quest’uomo si chiama Frank Bohannan, nome in codice “Crimson Commando”. Un mutante, stando al nostro database, la cui mutazione gli ha donato le stesse abilità di un supersoldato. Era attivo già durante la Seconda  Guerra Mondiale.>

<Il suo nome mi dice qualcosa.> interviene il Soldato d’Inverno <Ma i ricordi non sono chiari. Come fa ad essere ancora giovane e non dimostrare almeno novant’anni? Non gliene darei più di 50.>

<Nessuno lo sa con certezza.> replica Steve forse è una mutazione secondaria o forse ha avuto accesso a qualche sorta di filtro della giovinezza.>

<Ora mi ricordo di lui.> scatta Nomad <Non era finito nella Freedom Force? Era stato preso prigioniero in un’oscura missione in Medio Oriente.>

<Esatto Recentemente, proprio in seguito a quegli avvenimenti, ha subito degli innesti cibernetici. Sempre in tema di supersoldati, quest’altro è un uomo che ho già ho avuto modo di affrontare. Frank Simpson, nome in codice Nuke. L’ennesimo tentativo del nostro governo di riprodurre il siero che mi ha donato le mie capacità.>

<Di nuovo?> chiese Jack sarcasticamente. La sua vita infatti era stata stravolta proprio per lo stesso motivo.

<Purtroppo è così. È un folle psicopatico tossicodipendente, facilmente plagiabile. La sua presenza è un mistero, in quanto l’ultima volta che l’ho visto gli hanno sparato al petto e pensavo fosse morto.> rispose Steve.

<In questa stanza, lo siamo stati creduti tutti.> disse Bucky, con un’insolita ironia. Rogers abbozzò un sorriso, poi riprese a fare andare le immagini.

<Lei è Gail Runciter, un ex agente dello S.H.I.E.L.D. Era un’agente specializzata nelle operazioni d’infiltrazione. Fu creduta morta assieme ad altri agenti nel corso dell’affare Deltita di cui vi ho già parlato,[5] poi si scoprì che assieme agli altri era viva e prigioniera in un’installazione dell’Hydra da cui fu tratta in salvo ed inviata in una clinica dove avrebbero dovuto deprogrammarla da un eventuale lavaggio del cervello.[6] Diversamente da Sitwell, Quartermain ed altri lei non reagì bene al trattamento. Un giorno sparì dalla clinica ed ha fatto perdere le sue tracce. Fino ad ora.>

Bucky aveva un’espressione cupa: sentir parlare di lavaggio del cervello gli aveva ricordato quel che era successo a lui.

<Pensi che l’Hydra le abbia rivoltato il cervello?> chiese.

<Non lo escluderei.> rispose Steve <La Gail Runciter che conoscevo io non si sarebbe mai aggregata a mercenari come quelli.>

<E di quest’altra che mi dici? Ha il volto coperto, non si vede nulla.> disse Jack.

<In effetti su di lei non abbiamo nulla. Ho provato anche ad ingrandire la foto, ma non ho avuto nessun riscontro.>

<Io la conosco...> disse il Soldato d’Inverno.

<Sul serio?> chiese Steve.

<Non sono sicuro. Quegli occhi ed i riccioli biondi mi ricordano una foto che ho visto… su possibili agenti da reclutare per il Teschio Rosso.> alludeva all’uomo che si faceva passare per il Teschio Rosso Comunista degli anni 50 <Si chiamava… Melina…>

<Sokolova.> terminò Steve < Iron Maiden. L’ho incontrata quando ho affrontato Superia[7] e prima ancora me ne aveva parlato la Vedova Nera e … intendo Natasha Romanoff. Si, potrebbe essere lei, in effetti...>

<Quello che non mi quadra> prese la parola Jack <è cosa centri tutto questo con noi. Gente mai vista che tenta di rovesciare il governo di un altro paese ... perché Fury ha girato questa grana a noi?>

<Ottima domanda, Jack. La cosa diventa di nostra competenza a causa di quest’ultima fotografia> disse Steve pigiando un altro tasto. L’immagine cambiò nuovamente e mostrava un uomo che, a parte qualche capello bianco in più e qualche ruga sul volto, era del tutto identico a Steve.

<Chi ... diavolo è quello?> chiese Jack, stupito.

<Ti assomiglia in modo pazzesco. Potrei giurare che sei tu tra dieci anni.> disse Bucky.

<È appunto per questo che Donna Maria ha mandato le foto a Nick, e per lo stesso motivo Nick le ha girate a me. Il suo nome, a quanto lui stesso afferma, è Mike Rogers e, non mettetevi a ridere, sostiene di essere un mio lontano cugino.>

<Con quella faccia non è difficile crederlo.> commentò Jack.

L’occhiata che Steve gli rivolse mostrò che non aveva gradito il commento.

<Dobbiamo scoprire quali sono i suoi piani.>

<Che si fa allora?>

<Si va a Rio Valiente...>

 

Sul velivolo dei Vendicatori Segreti.

 

Steve Rogers lesse ancora una volta il dossier di Mike Rogers. A costo di sembrare antiquato, preferiva sentire sotto le sue dita il fruscio della carta piuttosto che usare quelle nuove diavolerie elettroniche a cui si era comunque ormai abituato. Non che gli servisse molto rileggerlo: lo conosceva a memoria ormai e molte di quelle informazioni le aveva assimilate tramite un lavaggio del cervello fattogli ai tempi della Seconda Guerra Mondiale.[8] Ricordava vividamente ogni dettaglio della vita dei due fratelli Mike e Grant Rogers, figli di Walter, funzionario del Dipartimento di Stato e di Elizabeth, come se l’avesse davvero vissuta lui stesso. Se si concentrava poteva quasi sentire il profumo dell’erba del prato di Villa Rogers a Sayville, Maryland, non troppo distante da Washington DC, sentire la frustrazione del giovane e timido Grant perché il padre gli preferiva il fratello e l’affetto che i due fratelli sentivano l’uno per l’altro nonostante la rivalità.

Ripensandoci, era strano che dopo aver recuperato le memorie della sua vera identità, pensava Steve, lui non si fosse mai domandato perché i due fratelli Rogers fossero così somiglianti a lui da passare quasi come suoi gemelli. Non poteva essere solo una coincidenza e la risposta era così ovvia che lui non l’aveva nemmeno presa in considerazione: un legame di famiglia.

Suo padre non parlava molto dei suoi parenti, forse per la frustrazione di sentirsi un fallito, la stessa che l’aveva spinto a bere fino a morirne, e solo grazie a sua madre il piccolo Steve aveva appreso del capitano Steve Rogers che aveva combattuto nella guerra d’indipendenza.  I Rogers di Sayville erano un altro ramo della famiglia? Molto probabile. Il dossier di Mike Rogers diceva che era stato ritrovato ancora vivo dopo il bombardamento giapponese di Pearl Harbor e sottoposto ad una cura sperimentale con una versione del siero del supersoldato ricavata dai pochi appunti del dottor Erskine e dal talento del suo braccio destro, il dottor Anderson, un uomo che Steve ricordava bene ed a cui aveva salvato la vita i almeno un paio di occasioni.[9] Mike era sopravvissuto ed aveva acquisito le stesse abilità di Steve diventando un agente segreto dell’O.S.S.[10] per operazioni “coperte”. Si diceva che il siero avesse funzionato efficacemente su di lui a causa della compatibilità genetica, ma non erano mancati gli effetti collaterali: uno positivo, il rallentamento dell’invecchiamento che aveva fatto sì che Mike non sembrasse avere più di 45 anni, ed uno negativo, una sorta di paranoia che lo aveva spinto a lasciare il servizio intorno agli anni 60. Non imparano mai, pensò Steve con amarezza: avrebbe dovuto affrontare il suo doppio negativo, la sua metà oscura, non era la prima volta che gli capitava.

 

Nello stesso momento, a Rio Valiente...

 

Il ritrovo non era che uno scantinato caldo e umidiccio. Attorno al tavolo sedevano un gruppo di guerriglieri provenienti da ogni parte del mondo. Diego Delgado presentava il suo ultimo acquisto ai suoi uomini.

<Compagni, diamo il benvenuto al nostro ospite dagli Stati Uniti ... el senor Mike Rogers.>

L’americano fece un passo avanti, mostrandosi agli uomini.

<Senor Rogers, ti presento l’uomo a cui dobbiamo todo esto: il nostro condottiero, l’uomo che ha portato avanti il nostro sogno ... el general Francisco Blanco.>

Mike si sedette al tavolo, salutando l’uomo a capotavola. Francisco Blanco era il capo del movimento rivoluzionario, ex braccio destro del defunto Hector Santiago. Era un uomo robusto, con una vaga somiglianza a Pancho Villa, ma con negli occhi uno sguardo feroce.

<Bienvienido en nuestro pais, senor Rogers> disse il generale <Il nostro obiettivo è claro: dobbiamo matar este hombre, El presidente Hugo Martinez. Ho sentito parlar di quello che ha fatto per conto del presidente Alvarez a Delvadia, anni fa. Sono convinto che lei possa essere d’aiuto alla nuestra causa.> disse porgendo una scatola di sigari al suo ospite. Mike ne afferrò uno e se lo mise in bocca, e mentre il generale lo faceva accendere, tra un’aspirata e l’altra rispose:

<Si senor general. Ho già elaborato un piano per ... eliminare il suo problema. Ho con me una squadra composta da alcuni dei migliori professionisti che ci sono in circolazione...> schioccò le dite e fece segno ai suoi uomini di farsi avanti e in questo modo il generale ebbe modo di osservare la sua squadra.

<Il signor Bohannan ha già contribuito a far rovesciare diversi governi comunisti, negli anni scorsi, mentre il signor Simpson... beh, il suo curriculum è parecchio ricco, le sue imprese variano dal Vietnam al Nicaragua. Le due signore hanno operato nell’ombra, ma le garantisco che non sono meno micidiali ...  Mi creda, nel giro di una settimana faranno il funerale al presidente Martinez, glielo garantisco.>

<Ah ah ah, splendido! E allora festeggiamo... > fece segno ad uno dei suoi di portare una bottiglia di rum e dei bicchieri.

<Alla muerte di Hugo Martinez!> esclamò il generale.

<Alla sua muerte!> rispose Rogers.

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

Delusi per la scarsità di azione in quest’episodio? Tranquilli, vi rifarete col prossimo. Nel frattempo un po’ di chiarimenti essenziali su quanto avete letto.

1)    La scomparsa di Jeff Mace, sostituto di Steve Rogers nel ruolo di Capitan America, così come le morti presunte di Spirito Libero e Jack Flag sono avvenute in Capitan America MIT #50. Se volete maggiori dettagli su chi ci sia dietro l’attentato che le ha provocate, il nostro consiglio, ovviamente del tutto  disinteressato, è che leggiate la serie MIT dedicata alla nuova Capitan America. -_^

2)    L’apparizione di Steve alla commemorazione dei tre eroi caduti che si è vista nel prologo di questa storia può essere vista da un altro punto di vista anche su Vendicatori Costa Ovest #25. Il fatto che l’autore di quella storia sia anche uno degli autori di questa serie e che l’altro autore prenderà a scrivere le gesta dei V.C.O. a partire dal n. 26, non deve assolutamente influenzare la vostra decisione di leggere anche la suddetta serie. -_^

3)    La missione di Sharon Carter e Yelena Belova contro Superia può essere seguita su Capitan America MIT #51/53 e sempre disinteressatamente vi invitiamo a leggere quelle storie.

 

Basta così.

Nel prossimo episodio: Steve Rogers contro la sua metà oscura, un complotto da sventare, un altro frammento del passato del Soldato d’Inverno e perfino una bella donna poco vestita… che non guasta mai perfino in un racconto in prosa. -_^

 

 

Carlo & Carmelo

 

 

 

 



[1] Steve ha affrontato l’Aviatore Notturno, o Uomo Perfetto che di si voglia, nei panni di Capitan America tanto  tempo fa su Captain America Vol. 1° #213/214 (In Italia su Thor, Corno, #193/194).

[2] Nell’ultimo episodio.

[3] E avrebbero avuto almeno parzialmente ragione, come sa chi ha letto Captain America Vol. 1° #206/208 (In Italia su Thor, Corno, #186/188).

[4] Captain America Vol. 1° #209/212 (In Italia su Thor, Corno, #189/192).

[5] Negli episodi #7/8 di questa serie.

[6] Come narrato in Nick Fury Agent of S.H.I.E.L.D.  Vol. 2° #43/47 inediti in Italia.

[7] Captain America Vol. 1° #387/392  (In Italia su Marvel Extra #10).

[8] Come narrato in Captain America Vol. 1° #225 e 253 (In Italia rispettivamente su Thor, Corno, #242 e Capitan America & i Vendicatori, Star Comics, #1).

[9] Una fu su Giant Size Invaders #1 (In Italia su Capitan America, Corno, #106).

[10] Office of Strategic Services, il predecessore della C.I.A. durante la Seconda Guerra Mondiale.